Uno sguardo sul femminismo islamico: recensione a “La jihad delle donne” di Luciana Capretti

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Quello di Luciana Capretti, scrittrice, giornalista ed inviata di spicco del TG2, è un libro che, in un cospicuo numero di pagine, e per mezzo di interviste ed incontri svoltisi nell’arco di un paio di anni, tenta di fare chiarezza su una questione incredibilmente attuale e di innegabile importanza: la condizione femminile nell’Islam. L’autrice, dunque, entra in un territorio minato e di difficile trattazione, ma lo fa in punta di piedi, con un rispetto ed una sensibilità incredibili, lavorando da grande professionista quale è.
Il mondo Occidentale, comincia Capretti, ha scoperto l’Islam l’11 settembre 2001. Paura e discriminazione si sono poi diffuse a macchia d’olio, raggiungendo il loro apice in Europa, come conseguenza della strage avvenuta nella redazione del giornale satirico Charlie Hebdo per opera di un gruppo di fondamentalisti. Non stupisce, quindi, che la nostra conoscenza e la nostra percezione del mondo musulmano siano influenzate da ignoranza e timore, e che le nostre menti siano irrimediabilmente portate ad associare la violenza di un gruppo di persone con un’intera comunità religiosa, il cui testo sacro predica invece pace, amore e giustizia.
Da questo momento ogni islamico sarà guardato con odio o sospetto, ed ogni donna con indosso il velo discriminata e allo stesso tempo compatita: vittima da salvare di un maschilismo abietto, ma al contempo potenziale nemica.
Quella femminile è, in effetti, una condizione spesso barbara nell’Islam, di sofferenza e totale sottomissione. Ogni giorno migliaia di madri, figlie, sorelle vengono picchiate, stuprate, uccise, punite con la lapidazione o condannate ad altri tipi di morte cruenta per aver disubbidito ai loro uomini. Ma questa violenza che trova per molti la sua giustificazione nel Corano, è in realtà il risultato di una storia di dominio patriarcale e misogino, e dell’interpretazione dei suoi versi da parte di soli individui di sesso maschile, naturalmente portati a leggere ed intendere precetti ed insegnamenti secondo il proprio desiderio. Mai il Corano incoraggia a maltrattare le donne, né mai appare alcun riferimento alla loro condizione di subordinazione, che trova anzi origine nell’influenza esercitata dalle altre due religioni monoteistiche principali, che già dal momento della creazione separano la nascita di Adamo ed Eva in due momenti distinti, e fanno derivare la donna dalla costola del primo, già completo dunque, e quindi superiore. Il Corano parla anzi di origine simultanea: entrambi i sessi sarebbero derivati dalla scissione di una sola anima.
Neanche l’obbligo di indossare il velo compare un’unica volta nel testo sacro. Esso è attualmente un segno identitario, una traccia delle proprie origini da portare con orgoglio per molte donne, soprattutto quando immigrate in paesi stranieri; ma nel Corano nessun verso fa pensare che esso debba essere indossato a tutti i costi. Ai tempi del Profeta, infatti, erano esclusivamente le sue mogli a portarlo, e solo negli ultimi anni. E’ dopo la morte di quest’ultimo che mettere il velo diventa comune, per via della conquista di territori vicini dove esso era in uso.
Il termine ‘femminismo islamico’ potrebbe rappresentare agli occhi di molti un ossimoro, ma è invece una realtà a pieno titolo originatasi già nel primo ‘900, quando donne coraggiose hanno avvertito l’esigenza di far sentire la propria voce sfidando limiti e costrizioni sociali che le vedevano succubi nelle loro case, finendo per rimetterci però la propria vita.
0004AAA4-la-copertina-del-libro-di-luciana-capretti-la-jihad-delle-donneAl giorno d’oggi, secondo Capretti, è possibile distinguere due tipi di femminismo suddetto, uguali negli scopi ma antitetici nei modi: un Femminismo Negazionista, che rifiuta il Corano e la tradizione islamica perché discriminatoria e fonte, per troppe donne, di abusi e sofferenze, ed un Femminismo Interpretativo, le cui sostenitrici sono convinte che quella musulmana sia la religione più inclusiva di tutte, e che ciò vada spiegato attraverso una rilettura fatta con occhi femminili, volta a restituire alle scritture la loro originale dimensione egualitaria.
Non sono poche, tra queste, le donne che prendono su di sé l’onere di condurre la preghiera del venerdì, e di improvvisarsi, dunque, imamah. Osteggiate dalle loro comunità di appartenenza e spesso addirittura minacciate, guidano gruppi di fedeli verso l’incontro con Dio, per il quale non esiste differenza se non in termini di fede e sincerità. Per molti musulmani è inaccettabile che una donna conduca la messa, soprattutto perché inconcepibile che sia l’uomo a doversi trovare dietro di lei. Il corpo femminile, inoltre, causerebbe desiderio, soprattutto nel momento della genuflessione, e porterebbe gli uomini presenti alla distrazione e al peccato in un momento sacro, importantissimo.    ‘E’ per questa ragione che nelle moschee i due sessi sono separati da secoli’, sostengono in molti. Sempre più spesso, però, moltitudini di donne denunciano le condizioni dei loro spazi di preghiera: scantinati, sgabuzzini, garage maleodoranti o dal caldo insopportabile d’estate; fedeli costrette ad ascoltare l’imam da altoparlanti, a guardare il muro mentre si rivolgono a Dio.
Le lotte femministe hanno condotto a risultati importanti, ma già ai tempi di Maometto non era insolito che fossero donne a portare avanti la preghiera. A queste era permesso partecipare alle assemblee della comunità, prendere decisioni o confrontarsi con gli uomini. E’ dal momento in cui il Profeta è costretto a confinare le sue mogli in uno spazio a parte per proteggerle dai suoi detrattori che le donne cominciano a vivere separate, e a vedere limitata la propria libertà. Con l’imposizione di leggi crudeli e misogine da parte di califfi successivi, poi, la loro esistenza diventa sempre più misera, la loro autonomia sempre più assoggettata a padri e mariti.
A detta di importanti studiose femministe come Amina Wadud, il Corano è basato su uguaglianza e giustizia, ma ci sono precetti fortemente sessisti. In alcuni versi si permette la poligamia, in altri si parla del paradiso come di un luogo celestiale occupato da giovani meravigliose di cui circondarsi; parti dettate da motivazioni pragmatiche: la necessità di ingraziarsi gli uomini di Medina per ottenere la loro conversione.
Per Amina Wadud, però, come per altre studiose del Corano, è il Daraba a rappresentare una questione fondamentale: il verso che ha autorizzato per anni la violenza sulle donne. Anche in questo caso sarebbe stata una traduzione errata a permettere una pratica contraria a tutti gli altri precetti del testo: ‘Battetele’, recita l’interpretazione ufficiale, ‘andatevene’ quella presentata da Wadud.
4In ogni modo, numerose sono le figure di donne coraggiose che dominano la storia dell’Islam. Fra tutte la prima moglie di Maometto, più vecchia di lui di 15 anni; una vedova che prima di incontrarlo gestiva da sola i suoi affari, che lo sposa e si converte, fidandosi delle sue parole; Hajar, schiava egiziana da cui Abramo ha il primo figlio, abbandonata da quest’ultimo per volere di Sarah nel deserto. Salvata da Dio, da lei avrà origine un popolo. C’è Aisha, ennesima delle mogli del Profeta, una delle più importanti. Alla sua morte prenderà il comando del popolo e guiderà un esercito in guerra.
Personalità assolutamente fondamentali, tristemente omesse perché donne in una società dominata da uomini e dai loro desideri.
Ad un Islam tradizionale e talvolta violento, però, fa eco uno di innovazione, più liberale, aperto all’inclusione di quelle minoranze tanto temute e disprezzate. Rivoluzione, apertura, inclusione. Cambiamenti che senza queste pioniere coraggiose non troverebbero modo di esistere. Guerriere dell’Islam che, a detta di Capretti, portano avanti la loro sfida personale, la loro ‘jihad’: una lotta che potrebbe cambiare in meglio anche le sorti delle donne occidentali, sottomesse a loro volta a una società basata su eguali concetti patriarcali.
Le donne di oggi sono pronte ad abbattere qualsiasi muro. Che non sia proprio quello musulmano il primo a crollare?

Deborah Paritario

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